Italianismi decide di fare un viaggio attraverso l’arte, concentrandosi sul teatro e in particolare sulla danza. Francesca Lopez intervista Claudio Cocino, primo ballerino del Teatro dell’Opera.
Italianismi decide di fare un viaggio attraverso l’arte, concentrandosi sul teatro e in particolare sulla danza.
Francesca Lopez intervista Claudio Cocino, primo ballerino del Teatro dell’Opera.
Più che riassumere l’intervista, preferiamo che la leggiate e vi lasciate travolgere dalle emozioni che hanno condito questo scambio.
Ciao Claudio, ci conosciamo bene ma oggi mi piacerebbe parlare con Claudio Cocino, primo ballerino del Teatro dell’Opera. Pronto?
Certo
Come e quando hai iniziato a ballare ma soprattutto, cosa ti ha spinto a scegliere la danza classica?
Partiamo dal fatto che non vengo da una famiglia di artisti né tantomeno di addetti ai lavori e per di più stiamo parlando ormai di qualche anno fa.
Ho cominciato a ballare all’età di sette anni in una piccola scuola di provincia precisamente a Civitavecchia, in provincia di Roma. La scuola di danza era nel tragitto per tornare a casa e molto spesso quando mia madre mi accompagnava riuscivo ad affacciarmi dalle finestre per capire da dove proveniva la musica. Un giorno riuscì a sfuggire all’attenzione di mia madre ed in un momento di distrazione mi intrufolai nella scuola di danza e mi diressi direttamente all’interno della sala dove si stava svolgendo una lezione di danza classica. La maestra fu molto sorpresa nel vedermi entrare nella sala e togliermi le scarpe immediatamente quasi come un istinto naturale. Chiesi di poter provare anche io a fare quello che stavano facendo tutti gli altri bambini ma nel frattempo mi raggiunse mia madre che, imbarazzata per l’accaduto, chiedeva scusa per l’interruzione. A quel punto la maestra, ancora più incuriosita, mi fece fare una piccola prova per vedere se avevo delle potenzialità per far parte del corso. Apparentemente il mio corpo era molto dotato per la danza ma mia madre quel giorno mi trascinó via e si scusò di nuovo con la maestra. Quel pomeriggio non feci nient’altro che pregare i miei genitori che mi portassero nuovamente a danza e da quel momento non lasciai mai più la sala di ballo. Perché la danza classica? Per me non c’era alternativa. Amavo i movimenti della danza classica amavo la musica classica, amavo l’armonia che le due cose insieme creavano.
É stato difficile intraprendere questa scelta da un punto di vista di genere?
Quando mi avvicinai alla danza erano i primi anni ‘90 e non era così solito avere dei maschietti all’interno della sala. Infatti in tutta la scuola ci saranno stati a malapena 4-5 maschietti mentre le femminucce erano in larga maggioranza. Era sicuramente un’attività vista da tutti quasi prettamente femminile ma man a mano che sono cresciuto mi sono reso conto che oltre me, c’erano tantissimi altri maschi che volevano intraprendere questo percorso esattamente come me. Inutile dire che tutti i miei compagni di classe vedevano quello che facevo come una cosa strana o particolare ma a me non interessava, io ero contento e felice di avere una passione così forte che tutti gli altri ai miei occhi non avevano.
Cos’è per te la danza?
La danza per me è arte, espressione e armonia e più profondamente è tutto me stesso.
La danza è lavoro, dedizione, sacrificio, sudore e passione.
Utilizzando il corpo, in questo momento in cui i corpi sono l’ultima cosa a cui porgiamo la nostra attenzione data la distanza necessaria da dover mantenere, come stai vivendo il tuo lavoro?
Il mio lavoro e di conseguenza gran parte della mia vita nell’ultimo anno è cambiata radicalmente. La visione che avevamo prima della danza e dell’arte in generale è ormai modificata, ovviamente legata al momento storico che stiamo vivendo, ma sicuramente distorta da tutto quello che noi conoscevamo. Oltre al movimento individuale sappiamo bene che i ballerini fanno parte di corpi di ballo e spesso ballano insieme a tante altre persone o in coppia. È dunque difficile immaginare tutto ciò a distanza di sicurezza.
Cosa ti manca di più del teatro?
Più di tutto del teatro in questo momento mi manca il pubblico e sicuramente lo spettacolo dal vivo. La presenza del pubblico in uno spettacolo per noi è fondamentale. Dopo aver provato anche l’esperienza di fare spettacoli in diretta streaming, sono arrivato alla conclusione che la magia del teatro deve necessariamente rimanere invariata.
Pensi che questa pandemia abbia modificato il modo di pensare all’arte?
Assolutamente sì. Sicuramente in questo periodo abbiamo avuto accesso a numerosissimi spettacoli messi in scena da tanti teatri del mondo grazie alla tecnologia e allo streaming. Questo dovrebbe aprirci gli occhi e cercare nel futuro di continuare a dare l’opportunità sia agli spettatori in sala che da casa di avere accesso alla cultura e che non sia più strettamente legata al teatro o ai vari “contenitori” che ospitano le performance. Cercare di raggiungere un pubblico sempre più vasto e di conseguenza diffondere la cultura in larga scala. Questo non significa assolutamente chiudere i teatri ma dare ai teatri l’opportunità di arrivare dove l’arte da sola non può farlo.
Grazie Claudio, è stato molto emozionante e, da parte mia, continua così, non cambiare mai.
Grazie mille
[ Francesca Lopez ]
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