Il Chemsex arriva in Italia, ma quanto siamo realmente pronti?


Partita dal Regno Unito, la pratica del chemsex si sta facendo strada tra i vari contesti underground d’Italia, progredendo a macchia d’olio soprattutto tra le comunità LGBTQIA+ di Milano e Bologna. Il termine deriva dall’unione delle parole chemical - in riferimento alle sostanze stupefacenti - e sex, e nasce circa 25 anni fa. Diversamente da come si pensa, non fa riferimento all’assunzione di una qualsiasi sostanza psicoattiva prima del rapporto sessuale, ma solo ad alcune specifiche sostanze con effetti stimolanti. La pratica del chemsex prende forma nei PnP - Party and Play -, contesti nei quali gruppi di uomini si incontrano per fare sesso tra di loro. Situazioni di questo tipo possono simulare una sorta di safe-space (“spazio sicuro”), in cui chi partecipa si sente bene, al riparo dalle difficoltà della vita quotidiana e dagli standard richiesti dalla società. In queste situazioni il senso di appartenenza al gruppo è molto alto, incrementato anche dall’uso di droghe che aumentano il livello di dopamina e serotonina nell’organismo. Ma, in questa bolla di realtà, spesso non si pensa ai rischi che si corrono. 

    Quando si pratica chemsex le droghe più utilizzate sono cocaina, metanfetamine, GHB e mefedrone. Il punto comune di queste sostanze è l’insieme degli effetti stimolanti ed eccitanti che hanno tutti un impatto sulla prestazione sessuale, aumentandone la durata e diminuendo la fatica. Il chemsex non porta con sé soltanto una forte disinibizione al sesso di gruppo - spesso praticato senza precauzioni - ma traina anche molti degli effetti collaterali dovuti all’utilizzo non controllato di sostanze stupefacenti. Inoltre, mischia fattori che provocano una serie di danni al fisico e alla psiche: parliamo sia dell’elevata possibilità di contrarre delle Infezioni Sessualmente Trasmissibili (IST) - quali epatite, HIV, gonorrea, clamidia, sifílide - sia del craving, ovvero il desiderio incontrollabile di voler consumare sostanze con lo scopo di sentirsi bene. 

     In Italia sono già molti i casi che si sono presentati ai Ser.D. - Servizi per le Dipendenze patologiche - delle diverse città in cui il fenomeno sta mettendo radici. La domanda è in aumento e i servizi territoriali non sono del tutto preparati e attrezzati per rispondere al problema. Come anticipato, il fenomeno sta prendendo piede soprattutto nelle città di Milano e Bologna, dove stanno nascendo i primi check point, luoghi in cui informarsi grazie a dei volontari supportati da membri del personale sanitario. Nei centri di supporto, vengono effettuati screening gratuiti, vengono distribuiti farmaci per abbattere la carica virale dell’HIV (ovvero PrEP, PEP o PPE) e viene svolto un intenso lavoro di informazione e prevenzione. Stiamo parlando, però, di un territorio ancora avvolto nella vergogna e nella disinformazione. In Italia la profilassi pre-esposizione è disponibile da soli tre anni. È nel 2018 che la PrEP arriva nelle farmacie italiane ed è ottenibile esclusivamente con prescrizione medica. L’assenza di un programma supportato dal SSN - il Servizio Sanitario Nazionale -, tuttavia, fa sì che una persona interessata alla cura reperisca con estrema difficoltà le informazioni di cui ha bisogno. Inoltre, non è possibile avere accesso gratuito agli esami previsti per intraprendere e monitorare il percorso di cura. Per far fronte a queste mancanze, stanno nascendo sempre più centri che si preoccupano di creare campagne di sana informazione a riguardo e di offrire, a chiunque pensi di averne bisogno, l’aiuto più adeguato. 

       Il chemsex non è un fenomeno da condannare, ma assieme al divertimento porta con sé molti rischi. Bisogna essere preparati e ben informati, prendendo le dovute precauzioni e regolando il consumo di sostanze. 


[Francesco Del Prete]
 



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