Ci hanno insegnato che la seconda guerra mondiale è stato un periodo di violenza inaudita, di odio incontrastato, causata da ideologie totalitarie e sbagliate, da ambo le parti.

Una storia d’amore e resistenza


Ci hanno insegnato che la seconda guerra mondiale è stato un periodo di violenza inaudita, di odio incontrastato, causata da ideologie totalitarie e sbagliate, da ambo le parti.

Ci hanno detto che si stava chiusi in casa, per paura delle bombe e dei rastrellamenti, e che nessuno si sposava o faceva figli, tanto che poi c’è stato il baby-boom.

Poi c’hanno detto che i partigiani erano dei bombaroli e le donne della resistenza erano poche e comunque avevano ruoli “secondari”, tipo crocerossine.

Forse, la resistenza non ce l’hanno raccontata bene e, forse, è per questo che ogni anno qualche coglione su Facebook scrive “25 aprile: lutto nazionale”.

Allora provo a raccontarvene un pezzetto io, perché durante la seconda guerra mondiale ci si innamorava, si viaggiava (seppur clandestinamente). si evadeva dalle carceri e le donne erano tutto fuorché secondarie:

 

È il 1932 e Ponza non è ancora la divertente e glamour isola che conosciamo oggi. È un luogo di esilio, in cui vengono confinati i dissidenti al regime. Tra loro ce n’è uno, che si chiama Max; qualche anno prima era dovuto scappare in Svizzera dopo una serie di aggressioni fasciste, contro di lui e contro il padre, Willie, professore inviso al regime. Lì aveva aderito a Giustizia e Libertà, un movimento formato da esuli antifascisti, sparsi per l’Europa. Una volta tornato in Italia però era stato condannato a 5 anni di confino nell’isola pontina, in quanto sospettato di diffondere volantini clandestini, poco graditi al Duce.

Un giorno d’autunno sua sorella, Joyce, si imbarca dal Circeo per fargli visita. I due non si vedono dall’estate e si abbracciano sotto al tiepido sole autunnale dell’isola. Max approfitta di quell’abbraccio per infilare nella tasca di sua sorella un plico di fogli scritti fitti, da consegnare a un certo Mr. Mill. Nel documento si progetta un’evasione. Joyce lo arrota, lo infila nel manico cavo della valigia che porta sempre con sé, e, senza saperlo, diventa una rivoluzionaria.

Mr. Mill era dovuto scappare dall’Italia, evadendo, nel 1929, da un’altra isola, Lipari, dove era stato confinato, anche lui come Max. Mr. Mill era evaso con altri due confinati e, passando per la Tunisia, erano arrivati a Parigi, dove fondarono Giustizia e Libertà, quel movimento di esuli che avrebbe poi messo nei guai Max.

Joyce inizia a girare l’Europa alla ricerca di Mr. Mill: a Parigi non c’è più, qualcuno le dice di cercare in Belgio, qualcuno sulle Alpi dell’Alta Savoia, ma neppure, lì di Mr. Mill, Joyce trova alcuna traccia. Alla fine, un conoscente dei due, li mette in contatto, e li fa incontrare a Ginevra.

L’incontro fra i due prende una piega inattesa. Si piacciono così tanto che Joyce descriverà il primo sguardo tra loro come “l’innesco di una deflagrazione interiore”. Dormono insieme, ma all’indomani Mr. Mill dice a Joyce che non può stare con lei, e non perché non le piaccia, ma perché la guerra, la latitanza e la lotta armata non si abbinano bene con le storie d’amore. Joyce se ne dispiace ma, in fondo, capisce: ormai è dentro a dinamiche troppo grandi, troppo pericolose, e non può permettersi sentimentalismi.

Si allontanano senza dirsi addio: Mr. Mill resta in Svizzera, per curarsi da una polmonite ormai cronicizzata, poi va in Spagna per prender parte alla guerra civile contro Franco, ed infine torna a Parigi, dove uno dei due confinati con cui era evaso da Lipari, è stato ucciso barbaramente da alcuni fascisti francesi, mandati da quelli italiani. Joyce invece, inaspettatamente, si sposa e si trasferisce in Africa. Il matrimonio dura appena due anni: suo marito è un destrorso ed ambizioso imprenditore che vede nel colonialismo un modo per arricchirsi velocemente, ma si sbaglia. L’azienda latifondiaria che avvia in Kenya fallisce dopo poco. Anche Joyce si accorge di aver sbagliato, e allora scappa in Tanganica: non parlerà mai più volentieri di quel matrimonio avventato e mal’ assortito e svilupperà, da quell’esperienza, un forte spirito anticolonialista.

È il 1938 e Joyce rientra in Europa, in Svizzera. Spera di ritrovare Mr. Mill dove lo ha lasciato, ma non c’è. Ricomincia allora a cercarlo per l’Europa, lo trova, per la seconda volta, e si trasferisce a Parigi. Questa volta, dopo 6 anni, Mr. Mill decide di smettere di scappare, almeno da Joyce, anche perché un uomo ed una donna innamorati danno meno nell’occhio alla Gestapo che sta per entrare in città.

Joyce e Mr. Mill si amano e decidono di sposarsi. Un matrimonio né cattolico, né civile, ma politico, celebrato da un compagno, fratello di un illustre pittore che vive a Parigi, che tutti chiamano Modì. Nel 1940 i nazisti piombano in una Parigi arrendevole ed inerte. Joyce e Mr. Mill iniziano a camminare per allontanarsi dallo scempio e dal pericolo della capitale francese occupata dai nazisti. Camminano per 700 km, fino a Tolosa, poi si trasferiscono a Marsiglia. Lì iniziano a produrre documenti falsi per far espatriare alcuni ricercati politici in Africa, mettendoli in salvo. Anche Mr. Mill e Joyce sono però in pericolo e allora scappano, prima in Portogallo, poi in Inghilterra, quindi tornano a Marsiglia.

È il 1942 e i due iniziano a pianificare il loro rientro in un’Italia già stremata, sebbene il peggio debba ancora venire, precisamente l’8 settembre dell’anno successivo. Trascorrono lunghi periodi separati, spesso impegnati in missioni diverse: Mr. Mill va a NewYork per prendere contatti con gli americani, Joyce continua ad aiutare esuli italiani a varcare il confine meridionale francese.

È il 1943 e i due, dopo anni di esilio, sono di nuovo in Italia, a Roma, sotto falso nome. Joyce è incinta ma, parlando bene inglese, viene scelta dal Comitato di Liberazione Nazionale per prendere contatti con gli alleati, e far rifornire i partigiani di armi e munizioni.

Nel 1944 nasce Giovanni, primo ed unico figlio di Joyce e Mr. Mill.

Per riconoscerlo e registrarlo all’anagrafe i due, qualche giorno prima della nascita, si erano sposati, stavolta in maniera più istituzionale di come non fecero qualche anno prima a Parigi, ossia in Campidoglio, coi loro veri nomi: Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti ed Emio Lussu.

[ Marco Terribili ]



Notiziario

 

Iscriviti per ricevere la nostra newsletter.

Il campo è obbligatorio. Indirizzo Email non corretto
Grazie per esserti iscritto al nostro notiziario.
Si prega di riprovare.
Sei già iscritto al nostro notiziario.