Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime (DNCII): il nuovo volto della violenza sessuale


Uno dei tanti aspetti di una società a stampo patriarcale è il suo agire e riprodurre violenza. La violenza ha tanti volti e può assumere diverse forme. Con questo articolo vogliamo portare alla luce una particolare forma di violenza, un fenomeno di cui si parla troppo poco, sebbene sia altamente diffuso: la Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime (DNCII). Il fenomeno è più comunemente conosciuto come Revenge Porn, tuttavia ha poco a che vedere sia con la vendetta (Revenge) che con il porno (Porn).

 

    Parlare di vendetta, infatti, fa pensare a una presunta colpa della persona che subisce la DNCII, a errori compiuti in precedenza che la pongono nella situazione di meritarsela. Questo ulteriore fenomeno - strettamente connesso alla DNCII - è chiamato victim blaming (“colpevolizzazione della vittima”). Secondo una ricerca condotta da Amnesty International nel 2017 in diversi stati Europei, Stati Uniti e Nuova Zelanda, il 76% delle donne che hanno subito molestie online, dopo i fatti, ha cambiato modo di utilizzare i social media soprattutto riguardo i contenuti dei post. Più precisamente, il 32% rivela di evitare di esporsi su determinati argomenti temendo delle conseguenze per la propria incolumità.

  Rintracciamo le cause del victim blaming a partire dalle inadeguate politiche governative di reazione alle molestie, che comportano una problematica forma di legittimazione della violenza che non si esaurisce solamente con l’accadimento dei fatti ma che si rinnova sistematicamente con la colpevolizzazione delle persone che subiscono la DNCII da parte della società. Inoltre, suggerisce una sorta di sbagliatissima goliardia da parte dei perpetratori, il loro fare branco. Usiamo il maschile non come (falso) universale neutro[1] perché chi agisce questo tipo di violenza sono, difatti, proprio ed esclusivamente uomini, mentre le vittime sono per il 90% donne[2]. Gli uomini che condividono immagini intime di donne su piattaforme digitali - che, tra l’altro, sono create appositamente per questo scopo - contribuiscono al rinforzo della cultura patriarcale sulla base della performance della mascolinità tossica per la quale i legami omosociali[3] come la solidarietà e la competizione tra loro vengono attuati e rafforzati attraverso l’esecuzione di comportamenti violenti contro le donne, l’osservazione di queste ultime e le molestie ritualizzate, che vengono sistematicamente etichettate come un “gioco”. La DNCII diventa, così, una modalità attraverso la quale gli uomini costruiscono la propria fratellanza servendosi del corpo femminile come mezzo. Gli aspetti del potere e del controllo risultano centrali in questo contesto e sono stati inclusi all’interno dei cosiddetti “compensatory manhood acts”[4] (atti virili compensativi), ovvero tentativi di riacquisizione di status sociali dominanti da parte degli uomini e di un conseguente controllo esterno dei soggetti femminili. Il materiale non consensualmente condiviso online diviene oggetto di giudizio tramite classificazioni e commenti che perpetuano l’oggettivazione e la sessualizzazione dei corpi e dei soggetti rappresentati.

 

  Aggiungiamo ancora che, nominare la pornografia in questa dinamica definendola - come anticipato - Revenge Porn, rischia di nascondere la natura non consensuale dei fatti. Pertanto, descrivere la DNCII come una violenza sessuale facilitata dalla tecnologia risulta essere più consono. È bene fare un appunto: sebbene spesso si demonizzi la tecnologia come causa di tutti i mali, la realtà, invece, suggerisce come internet rispecchi tutte le discriminazioni che già esistono all’interno della nostra società. Non possiamo più opporre virtuale a reale: ad oggi, il virtuale è reale o, perlomeno, ne rappresenta e/o influenza una grossissima parte. Le tecnologie digitali fortificano violenze già esistenti - come lo stalking o il controllo - e creano violenze nuove come, in questo caso, la violenza sessuale tramite immagini. Il sexting[5], ovvero lo scambio - consensuale - di messaggi, immagini o video sessualmente espliciti, viene troppo frequentemente inquadrato come causa della DNCII generando la sensazione di legittimazione ad appropriarsi del materiale intimo ricevuto. È importante evidenziare come ad essere consensuale sia solo la ricezione del materiale, e che questa non preveda un implicito consenso per una condivisione con terzi. Il consenso implicito non esiste! Per consenso - è importante sottolinearlo - si intende chiedere esplicitamente ad una persona il permesso per fare qualcosa e, in seguito, rispettarne la risposta. Questo riguarda tutto ciò che ci appartiene: il nostro corpo, la nostra immagine, i nostri dati, la nostra identità, ecc.

La non-consensualità della diffusione di immagini intime è una forma di violenza che porta le donne a mitigare e rivalutare il proprio approccio alla sessualità castrandola, limitando la propria libertà, nella speranza di evitare la possibilità che il perpetratore possa in qualche modo riconoscerle come le responsabili di ciò che è accaduto. Tuttavia, come recita lo slogan di Non Una di Meno, “lo stupratore non è malato, ma è il figlio sano del patriarcato”, e la DNCII ne è uno dei suoi più aberranti risultati.

 

Ricordiamo che è attivo gratuitamente h24 il numero nazionale 1522 in cui operatrici specializzate accolgono le richieste di aiuto e sostegno di chi subisce violenza.

Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito 1522.eu (https://www.1522.eu/). La sezione “Referenti e Mappatura” ospita un elenco dei CAV (Centri Anti Violenza) suddivisi per regioni, con i relativi recapiti (https://www.1522.eu/mappatura-1522/).

 

 

[Ludovica Mancini, Luisa La Gioia]

 

[1] Per approfondimento in merito al linguaggio di genere, rimandiamo al primo articolo della nostra rubrica: http://italianismi.it/home/italianism-sperimentazioni-per-un-linguaggio-di-genere/.

[2] Il restante 10% è rappresentato da persone LGBTQIA+. In questo caso, chi perpetua la violenza sono uomini gay, interessante e problematica dimostrazione di come mascolinità tossica e violenza strutturale si ripercuotano anche nella comunità queer. Per approfondire: Bainotti, L.; Semenzin, S., 2021, Donne tutte puttane. Revenge porn e maschilità egemone, Durango, Andria.

[3] Il termine omosocialità fa riferimento a relazioni tra persone dello stesso sesso che non sono né romantiche né sessuali, come l'amicizia.

[4] Per approfondire: Michael Schwalbe, Manhood Acts, Gender and the Practices of Domination, 2014.

[5] Neologismo derivato dalla fusione delle parole inglesi sex e texting.



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