Come si inscrive la violenza all’interno del discorso sulla sessualità? Qual è il rapporto che intercorre tra sesso e violenza? Sono due opposti che non si devono toccare o possono viaggiare sullo stesso vagone del treno con destinazione il piacere? È ancora di violenza che parliamo in pratiche in cui vige un assoluto consenso? Cosa ci dice il BDSM sull’intreccio che lega dolore, piacere e potere?
Sebbene le pratiche BDSM siano generalmente percepite come violente, tali non sono. Mentre una violenza è un’azione agita su di un soggetto contro la sua volontà, la prima regola fondamentale e imprescindibile di ogni pratica BDSM è il consenso da parte di tutti i corpi che vi partecipano. Nelle pratiche sessuali ordinarie, invece, difficilmente -o non sempre- le parti coinvolte si accertano che vi sia consenso, perpetuando troppo spesso la violenza strutturale costitutiva della società patriarcale che inevitabilmente abitiamo.
Il termine BDSM è una combinazione di diversi acronimi. B\D sta per Bondage & Disciplina e si riferisce a una serie di pratiche che ruotano attorno allo scambio di potere all’interno di una cornice safer, quanto “più sicura” possibile. Il termine “bondage” indica non solo la pratica di legare e immobilizzare unə partner, ma rimanda anche al “bonding”, ovvero al processo attraverso il quale si sviluppa una stretta relazione emotiva tra due (o più) persone. Questa rappresenta una caratteristica fondamentale di ogni pratica BDSM, in cui i corpi coinvolti stringono una forte e indispensabile connessione emotiva tra loro, basata sulla fiducia reciproca senza la quale le pratiche e lo scambio di potere non potrebbero avere luogo in modo sano, sicuro e consensuale (SSC).
S\M sta per Sadismo & Masochismo, pratiche erotiche e sessuali patologizzate dalla Scienza di cui il BDSM si riappropria e che depatologizza, basate sul piacere legato all’infliggere o al farsi infliggere dolore. Incastrato tra i due acronimi ce n’è un terzo, D\s, che sta per Dominazione & Sottomissione e fa riferimento a relazioni costruite attorno a una dinamica di potere Dominante\sottomessə. Nella società patriarcale, la soggettività si costruisce attraverso l’assoggettamento dell’altrə: si diventa soggettə nel momento in cui si rende oggetto qualcun altrə. Nel BDSM questo non accade : il binarismo soggetto\oggetto salta, prevedendo la compresenza di due (o più) soggettə dotati di una propria agency.
Sebbene la sessualità sia generalmente concepita come qualcosa che tiene lontano il dolore attraverso il piacere, le vite di ciascunə sono attraversate dal dolore e l’assenza\presenza di dolore, così come l’assenza\presenza di piacere, non possono essere intese come stati permanenti, ma come costantemente in transito e in transizione, fluide. Sia il dolore che il piacere sono delle esperienze sensoriali ed emozionali che, in quanto tali, risultano assolutamente personali e, quindi, inconoscibili in maniera universale.
Quando i corpi sono sotto stress, inoltre, producono autonomamente sostanze chimiche che aiutano a sopportarlo, quali adrenalina, endorfine e anestetici naturali. Non avviene che, al contrario, a forti piaceri i corpi rispondano producendo sostanze chimiche “di stress” che impediscano di viverli. Ne consegue una riflessione: è forse il corpo fisiologicamente portato all’amore di sé? Altra riflessione: il tatto rappresenta, nel BDSM e nella sessualità, il senso predominante attraverso cui accedere al piacere e alla conoscenza, che possiamo leggere nei termini di una metafora d’amore. Secondo Irigaray (1990), [1] non conosciamo mai l’altrə, che rappresenta sempre un’occasione e mai qualcosa che si possiede o che può essere posseduta poiché, inglobandolə, verrebbe meno la stessa relazione. L’amore è, quindi, tensione costante e movimento verso l’altrə. Non è essere amatə, ma essere amanti. Non è fusione che chiude e soffoca, ma apertura e possibilità di accesso al molteplice. Il tatto si fa, dunque, luogo di percezione del limite dell’altrə, del limite tra sé e l’altrə, dell’invalicabile da non distruggere o penetrare. Il piacere sta nel con-tatto, superficie su cui trovarsi, amarsi, costruire nuovi mondi.
La morale eteronormativa patriarcale ci vuole mogli, madri, serve incatenate a prigioni a volte auree, ma pur sempre prigioni. Il BDSM sovverte questo sistema offrendoci una prigione altra -il dungeon- [1] come spazio di riappropriazione. Una prigione alla quale accedere per un intervallo di tempo limitato che siamo liberɜ di scegliere attraverso una negoziazione prerogativa, non ritrovandovici nostro malgrado. Dungeon come luogo in cui esprimere e fare esperienza di modalità alternative di relazioni, sessualità e desideri che esulano dalla violenza di cui sono tacciate. Non è violenza se vi è consenso, ma opportunità di conoscenza, cura e amore di sé e dell’altrə. Faccio, dunque, di questo scritto un elogio del BDSM in qualità di spazio sacro di sperimentazione e liberazione, di empowerment e catarsi, di costruzione di nuove possibilità.
[Luisa La Gioia]
[1] Irigaray, L., 1990, “Etica della differenza sessuale”, Feltrinelli, Milano.
[2] Dungeon vuol dire “prigione sotterranea” ed è utilizzato per indicare uno spazio dotato di attrezzature specifiche per sessioni BDSM.
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