Gennaio 2022. Nuovo anno appena cominciato, festività natalizie appena terminate. Il Natale si presenta puntualmente come momento dell’anno in cui - più di ogni altro - ci si riunisce solitamente con le famiglie di origine. 2022, e la società patriarcale che inevitabilmente abitiamo ancora rema contro dei cambiamenti culturali che chiedono sempre più di essere realizzati. Infatti, questa reunion spesso si fa luogo “privilegiato” da cui osservare tutta una serie di asimmetrie di genere a tutt’oggi dure a morire.
La disparità tra i generi all’interno della cosiddetta famiglia tradizionale (e non solo) spesso è osservabile a partire dalla stessa genitorialità e dai differenti modi di nominarla e metterla in pratica, a seconda dei generi, all’interno del vincolo matrimoniale e non. [1] In particolare, questa pervade e, a sua volta, è pervasa - quasi in un circolo vizioso - dal modo in cui la società percepisce, interpreta e giudica caratteristiche e comportamenti che si discostano dai codici della cultura eteropatriarcale. Quest’ultima, infatti, costruisce storicamente e geograficamente dei ruoli di genere ben definiti relativi alla mascolinità e alla femminilità, facendoli passare per naturali. Tuttavia, non esistono dei compiti che spettano “per natura” alle madri né cose che appartengono “per natura” ai padri.
Questo preambolo vuole condurci alla riflessione e alla critica di un termine entrato nella lingua comune: “mammo”. Il neologismo - che, in quanto tale, desta ancora più sgomento - rappresenta una femminilizzazione della figura paterna e la perpetuazione di stereotipi legati ai generi, tali per cui sarebbe compito “naturale” della mamma svolgere determinate mansioni, e un papà che se ne occupa allo stesso modo viene definito, di conseguenza, un “mammo”. Oltre a essere un termine inserito all’interno di una cornice assolutamente eteronormativa, il fatto che spesso venga usato in tono scherzoso mostra chiaramente che, attribuire a un uomo delle caratteristiche culturalmente associate al genere femminile, sia generalmente percepito come qualcosa che suscita ilarità in quanto considerato inferiore.
I ruoli che normalmente associamo al femminile e al maschile fanno, però, parte di un costrutto culturale difficile da sradicare perché tramandato di generazione in generazione, secondo il quale gli uomini detengono il potere. Questo potere è storicamente associato a una forza cosiddetta virile caratterizzata da una certa insensibilità, brutalità e durezza che vengono date per scontate. Tali caratteristiche, in realtà, vanno a costituire i tratti di una mascolinità tossica secondo la quale gli uomini non piangono, non si occupano della cura della casa, non coccolano i propri figli e le proprie figlie, né l aiutano con i compiti scolastici (tra le altre cose). È alle donne che vengono tradizionalmente attribuiti questi (ed altri) compiti legati alla sfera educativa ed emotiva, come anche una presunta predisposizione alla cura, alla gentilezza, alla delicatezza e alla subordinazione.
Tuttavia, - ci ripetiamo, ma è necessario - non è così. Non esistono delle predisposizioni naturali o biologiche nell’occuparsi delle faccende domestiche o nell’accudire la prole per il genere femminile, né altrettante che vietino a un uomo di occuparsene ugualmente. I lavori domestici e l’accudimento de figl non sono e non devono essere responsabilità esclusiva delle donne, né devono essere ricondotte a una dinamica relazionale di servaggio come, purtroppo, spesso accade. E nemmeno riteniamo possa essere sano privarsi di se stess, di emozioni e attimi irripetibili, in nome di una presunta virilità da rispettare e confermare che, in realtà, è spesso veicolo di una mascolinità tossica. I mammi non esistono, ma esistono i papà che si comportano da papà.
Molto spesso i ruoli di genere non sono altro che delle gabbie entro i cui confini si sta chius e molto strett, dove le prospettive di guardare alle cose restano univoche, e in cui non c’è possibilità di conoscere se stess e il mondo. Sebbene la nostra società non sembri essere pronta a una rivoluzione, noi di Italianismi ci crediamo. E ci credete sicuramente un po’ anche voi che siete arrivat sin qui nella lettura. I mammi non esistono, ma esistiamo tutt noi, con le nostre storie da raccontare e mille mondi da costruire. Esistono nuove rivoluzioni insieme. Parole attente con cui significare le cose che costruiscono il mondo che abitiamo.
[Luisa La Gioia]
[1] Se focalizziamo per un attimo la nostra attenzione al linguaggio, possiamo notare come, innanzitutto, ci sia una polarizzazione di significato tra i termini “matrimonio” e “patrimonio”, che mostrano chiaramente quella ripartizione asimmetrica del potere secondo i generi femminile\maschile. Difatti, mentre “patrimonio” sta per “cose appartenenti al padre” e, quindi, sottolinea velatamente una certa idea di possesso, “matrimonio” fa riferimento al “compito della madre”, «ritenendo quasi che la completa realizzazione dell’unione tra un uomo e una donna avvenga con l’atto della procreazione, con il divenire madre della donna che genera, all’interno del vincolo matrimoniale» (fonti: https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/etimologia-e-significato-di-matrimonio/841) e alla quale spetta per “natura” la cura di tale vincolo e di ciò che ne consegue.
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