Le nostre case sono vuote ormai da anni, da quando le nuove generazioni hanno capito che l’estero propone innumerevoli possibilità di sperimentazione, di visione,

Ripensare la famiglia



​​​​​​​Le nostre case sono vuote ormai da anni, da quando le nuove generazioni hanno capito che l’estero propone innumerevoli possibilità di sperimentazione, di visione, di altro da cui farci attraversare.

I nostri letti sono perfettamente ordinati, da quando dopo il liceo molti giovani hanno preso tutte le loro cose per studiare in città pronte a fornire gli strumenti giusti, creare nuovi assetti mentali, regalare gli stimoli che ci sono sempre mancati.

Ho vissuto in prima persona tutto ciò e so perfettamente cosa vuol dire lasciarsi alle spalle la famiglia, quella di sangue.

Ma quando i sogni, i desideri e la voglia di scoprirsi sono così forti, allora tutto passa in secondo piano. Ho iniziato ad organizzare i pranzi della domenica con i miei amici, a preparare feste di compleanno, cene e aperitivi per festeggiare il voto dell’esame, la laurea, il nuovo posto di lavoro.

Dal primo giorno in cui ho messo piede in una nuova città e ho sentito pervadermi quella sensazione di estrema solitudine e spaesamento, ho capito che avrei dovuto cercare la vera me e, allo stesso tempo, trovare appigli per poter esistere e resistere.

Ho trovato prima i miei amici, poi la mia comunità politica, poi le colleghe di lavoro.

Ma, pensandoci bene, siamo tutti cresciuti con mamma e papà e con i nostri fratelli/sorelle di sangue?

Fortunat* chi lo è stato, chi ha avuto questo privilegio, perché, da che io abbia memoria, so di persone che entrano nelle nostre vite da quando nasciamo e no, non hanno alcun legame di sangue con noi.

La babysitter che si prende cura della nostra infanzia e delle nostre fragilità, ci prepara alla feroce adolescenza, dove tutto trema e niente sta in piedi.

Le amiche con cui cresciamo, con cui trascorriamo tutta la nostra vita, dall’asilo al liceo per poi scegliere insieme che percorso di vita fare perché ‘’come mi conosci tu, nessuno mai’’.

Gli amici che incontriamo sulla strada, che ci tengono per mano in momenti difficilissimi, per poi lasciarci affrontare il resto, perché sanno che possiamo farlo.

Gli anziani, che ad un certo punto della loro vita condividono la tavola con persone mai viste prima, con quelle donne, spesso straniere, che si caricano di tutto il lavoro di cura che, fino a prova contraria, non doveva assicurare la famiglia?

Le persone transgender, omosessuali, non binarie, tutti quei corpi che non corrispondono alla ‘’norma’’, alle ‘’regole’’ che la società impone, che vengono cacciati dalle proprie case perché ‘’non mi piaci così’’/’’non ti voglio così’’ e hanno la fortuna di costruire rapporti, reti, legami che vanno oltre il sangue.

Tutte le donne che vivono situazioni violente che trovano supporto nei centri antiviolenza, grazie a quelle operatrici che le accompagnano nella ricostruzione delle loro vite e che il 24 dicembre raggiungono le case rifugio con spumante e pandoro perché ‘’facciamo un brindisi tutt* insieme, è Natale’’.

Penso anche, semplicemente, a chi bloccato in ospedale per malattie gravi, inguaribili, si è ritrovato costretto a condividere il lavandino, la sedia e il dolore con persone conosciute per un caso fortuito, perché se l’assegnazione della camera fosse stata diversa, avrebbero conosciuto altre persone, altre vite, altre realtà.

Penso a chi è stato abbandonato, a chi non ha avuto il privilegio di scegliere, a chi ha dovuto subire le conseguenze di una società che manca di equità.

Allora cosa vuol dire famiglia? Lasciare davvero, come dice la costituzione, che sia ‘’una società naturale fondata sul matrimonio’’ (Art. 29. Costituzione Italiana)?

Con lo scattare del lockdown, abbiamo visto moltissime famiglie divise, famiglie in senso naturale, come la società intende. I corpi legati dal sacro vincolo del sangue hanno dovuto rinunciare a vedersi, abbracciarsi, incontrarsi. Da questo, è sorta una necessità trasversale e potente, che ha messo in discussione il significato proprio di famiglia. La pandemia ha messo anche in discussione il concetto di ‘’normalità’’, perché, forse, invece di desiderare di tornare alla normalità dovremmo desiderare di cominciare a cambiare le cose.

Appelliamoci rispetto alla questione ‘’famiglia’’ come concetto culturale e non naturale, scegliamo le nostre famiglie, che siano fatte di madri, padri, sorelle, amici, gatti, cani, pappagalli, mostri, fantasmi, caramelle gommose.

Sentiamo la necessità di ripensare la famiglia perché senza tutti quegli affetti costruiti nel tempo, acquisiti per necessità, senza tutta quella rete di persone che gravita attorno alla nostra vita, non saremmo mai stati parte di qualcosa di così meraviglioso.

Per questo motivo, quest’anno auguriamo un Buon Natale a tutte quelle persone che hanno avuto la fortuna di incontrarsi, di salvarsi e di non perdersi, non perché legate da un vincolo biologico, ma per una scelta consapevole, costante, costruttiva.


Alle donne che mi hanno cresciuta

Alla mia sfamiglia

Alle zie non di sangue che, per ogni festività, non ci hanno mai lasciate sole.



[Francesca Lopez]



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