Un sogno chiamato Procida, l’isola laboratorio di felicità sociale


La Capitale italiana della cultura 2022 è un luogo dell’anima. Dove la cultura non isola. Da sempre.

 

Prima di attraversarla, annusarla, comprenderla, afferrarla – ché i luoghi si afferrano, e a volte amano lasciarsi afferrare – Procida l’abbiamo tutti immaginata, molti di noi persino sognata.
Accade da bambini, quando coloriamo le case con i pastelli, una per una, il rosa e l’arancio, il verde e il turchese, e sopra ci piazziamo un sole che sorride, ché non c’è mai spazio per la pioggia nei disegni della nostra infanzia. Accade da adolescenti, quando l’isola diventa per antonomasia il luogo della fuga, meta privilegiata di maliziosi slanci di libertà. Accade soprattutto da adulti, e accade perché di Procida impari ad aver bisogno, ancor prima di comprendere la natura di quella piacevole dipendenza: il mare, il profumo del pesce, il dialetto che s’impasta al francese dei turisti che zigzagano con voluminosi zaini sulle spalle e vivaci bimbi a tracolla, la scoperta degli orti e dei limoneti che si nascondono nel ventre degli edifici, ché questo ha di bello l’isola, la bellezza non ama ostentarla, piuttosto suggerisce che la colga chi abbia realmente il desiderio di farlo.
Io ho sognato la Corricella, più volte, in un tempo che non è di questo mondo, forse prima ancora che Elsa Morante se ne innamorasse, dando forma e consistenza al leggendario Arturo, o che Massimo Troisi, affaticato, aggiungesse poesia a poesia con “Il Postino”, la sua ultima fatica. L’ho sognata non già perché è incontrovertibilmente una cartolina, forse la cartolina, uno sfondo da cartapesta che contiene il senso stesso del Mediterraneo, le nostre radici, la nostra identità, la nostra bellezza. L’ho sognata perché è soltanto lì, nell’assordante silenzio di un inverno di anni fa (chi può dirlo?), gabbiani che volteggiano assecondando le correnti e lunghe teorie di gatti con mire malcelate verso i pescherecci di ritorno, è soltanto lì che ho trovato l’equilibrio tra i mondi, una pace interiore di attimi o ore, giorni o forse secoli.
Procida è l’isola dei passi: hanno provato a contarli, ma la bellezza è soprattutto anarchia, e quando la si esplora non c’è una regola per farlo, non c’è una rotta immaginaria da percorrere, un itinerario da seguire.

 

Procida è lo sguardo del mio amico Fabrizio Borgogna, l’assessore al turismo che forse aveva già previsto tutto: il suo tempo è stato beffardo, il suo lascito è qui e gli sopravvive.
Procida è cultura. E la cultura non isola. Ci sembra quasi necessario, oggi, lo slogan che ha accompagnato il dossier da Capitale italiana per il 2022: Agostino Riitano lo ha intuito passeggiando, dialogando, condividendo. Ha pensato al lockdown prima del lockdown. A Dino Ambrosino, il sindaco illuminato, deve essere parsa la formula giusta. A volte gli incastri sanno fondersi alla perfezione.
Procida, del resto, non ha mai isolato. Lo raccontano le secolari storie dei suoi marittimi, le solitudini di famiglie a lungo monche eppure perfette. Lo racconta la sfida più recente, e bella: l’accoglienza dei migranti, uno Sprar nella piccola isola. Ho sognato anche questo, l’africana Haoua, occhi neri come la pece e pelle di porcellana: indossava il costume settecentesco della Graziella. Le donne dell’isola le sistemavano il copricapo rosso, annodandoglielo sulla testa. Il verde e il rosso le donavano, il ricamo dorato la inorgogliva. Lei, arrivata dal Camerun via Lampedusa, con la sorellina Marianne, tre anni.
Procidane e africane, ché oggi sembra quasi un miracolo eppure la storia ci racconta di millenni di intrecci, e Vivara ne è testimone. A Procida si arriva in punta di piedi, ha detto Agostino. Ed è così: il turista resta deluso, il visitatore strabuzza gli occhi. Per questo, Procida Capitale non sarà una Disneyland degli eventi. Sarà l’esaltazione dell’anima di un’isola che è già stata capitale e cui ora il Ministero ha dato uno storico riconoscimento, chissà che non l’abbiano sognata anche loro una storia così.
C’è anche questa espressione bellissima, che racconta cosa vuole essere Procida: laboratorio culturale di felicità sociale. L’idea che la felicità si possa costruire, che sia una conquista quotidiana, un traguardo collettivo, una conseguenza delle nostre azioni. E che sia condivisa, soprattutto. Non c’è felicità nell’individuo singolo, qui – sull’isola di pescatori per antonomasia – rammendare le reti è una metafora straordinariamente attuale nella società sfilacciata che vive di odi seriali, il capo chino sugli smartphone che diventa “egofono”, al diavolo le relazioni sociali. Non qui, non ora: Procida è la tenace storia di Natalia e Leonardo, custodi di una libreria che pareva un atto di romantica illusione e che invece è - intuizione di Andrea Palombi, leggi Nutrimenti – una straordinaria storia di appassionato coraggio e amore per le parole e per le storie, per la carta soprattutto. Procida è un museo civico che si costruisce con le donazioni dei cittadini,ché la memoria non è memoria se non c’è dentro una parte di noi.
Procida è il volto della giovanissima Ludovica, che ha girato il mondo e qui è tornata, perché “costruire il futuro a casa propria è un’altra cosa”, e la timidezza di Andrea, classe 1992: lavorava a Orlando alla Disney e che ora è di nuovo sull’isola, ché certi legami non si scindono mai, chi nasce su un’isola lo sa. Procida è Titta e Rossella, Luigi e Leonardo, Michele e Carmine, Matilde e Sara, Antonio, Lucia e Antonio: una squadra di giovani amministratori appassionati che hanno scelto la politica per costruire un futuro che non rinneghi il passato, e lo hanno fatto con competenza ed entusiasmo.


Procida è Giacomino Retaggio, che per 25 anni è stato il medico del carcere di Palazzo d’Avalos. Era laureato in medicina da pochi mesi e la struttura, che ospitava 500 detenuti, aveva un medico di ruolo napoletano, che vi restava il meno possibile, grazie anche alla connivenza del direttore. Eppure incidenti e atti di autolesionismo, accoltellamenti e malori erano all’ordine del giorno. E così il maresciallo mandava spesso un’auto per l’isola alla ricerca di un medico. “I miei colleghi anziani se la squagliavano, il cerino restava quasi sempre in mano a me. E diventai il dottore del carcere”. Oggi racconta: “Quel che cattura di Procida è il suo spirito. Chi vuole andare a fondo delle cose, chi non vuole fermarsi alle apparenze, chi vuole cogliere una bellezza in parte segreta e impenetrabile, beh, può venire a Procida. Difficilmente resterà deluso”.
Procida è l’isola dell’amore, anche. “Pensavo da tempo di trasferirmi qui, ma ero sola. – mi ha raccontato Elisabetta Montaldo, costumista e scrittrice -  Un giorno, come nei romanzi, ho incontrato l’uomo della mia vita, uno scienziato padovano. Viveva a Procida da anni, io non lo avevo mai visto. Questa è un’isola piccola ma labirintica e il forestiero la sceglie non per desiderio di mondanità ma per rinchiudersi in un mondo suo. Come John Grisham: viene a Procida, non se ne accorge nessuno. Insomma,  quell’incontro fu il tassello che mancava, avremmo scelto di vivere insieme nella casa dei nonni. Procida è stato il porto che mi ha salvato dalle burrasche della vita, ho sempre saputo che qui avrei ritrovato me stessa”.
Ecco, l’ha sognata anche lei Procida, la cultura che non isola, il laboratorio di felicità sociale. Capitale della cultura, capitale umano, metafora di un’Italia piccola, resiliente, bellissima. Quella che a tutti è capitato di immaginare, e che è oggi è qui, a portata di mano. 

 

 

[Pasquale Raicaldo,

Responsabile comunicazione Procida 2022 ]



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